lunedì 30 aprile 2012

CALENDARIO MESE DI MAGGIO 2012


Calendario mese di maggio 2012




SAN COSTANTINO ED ELENA 21 MAGGIO
PARROCCHIA DI CHIETI SCALO




MAGGIO 2012
data
gg.
Descrizione festa e Santi del giorno
1
M
Geremia profeta; Ippolido dell'Irpinia; Giordi di Takku
2
M
ATANASIO il Grande
3
G
Timotep e Maura martiri; Pietro di Argo
4
V
Ilario beato; Pelagia martire; Niceforo l'Esicasta
5
S
Irene megalomartire; Leo di Africa
6
D
DEL PARALITICO. Giobbe il Giusto
7
L
Visione della Croce; martiri di Locri
8
M
Giovanni il Teologo
9
M
Mezza Pentecoste. Isaia profeta; Cristoforo m.
10
G
Filadelfio, Alfio e Quirino mm
11
V
CIRILLO e METODIO; Muzio ieromartire
12
S
Epifanio di Ciprio; Germano di Costantinopoli; Filippo il Cacciaspiriti
13
D
DELLA SAMARITANA; Glicheria martire; Sergio Confessore
14
L
Isidoro e Teraponte martiri; Leonzio di Gerusalemme
15
M
Pacomio
16
M
Totodo il santificato; Resituta di Ischia; NICOLA I Patriarca di Costantinopoli
17
G
Antronico e Giunia Apostoli
18
V
Dionigi, Andrea, Paolo e Cristina Martiri; STEFANO I Patriarca di Costantinopoli
19
S
Patrizio vescovo, martirizzato dai Latini
20
D
DEL CIECO. Lidia, prima cristiana d'Europa
21
L
Costantino ed Elena
22
M
Vasilisco
23
M
Michele
24
G
ASCENSIONE DEL SIGNORE. Simeone
25
V
Il Percursore, terzo ritrovamento del suo capo
26
S
Alessandro, Sinesio beato
27
D
DEI PADRI DEL CONCILIO ECUMENICO. Giovanni il Russo
28
L
Eutico vescovo
29
M
Teodosia martire di Costantinopoli
30
M
Isacco beato; Vaarlam beato
31
G
Ermio il martire; Eustazio di Costantinopoli, Serafino beato

MAGGIO 2012

Letture delle Domeniche e Grandi Feste
data
Apostolo
VANGELO
VANGELO
MATTINALE
TONO
6
Atti 9, 32-42
Gv. 5, 1-15
V
III
13
Atti 11, 19 -30
Gv. 4, 5 - 42
VII
IV
20
Atti 16, 16 - 34
Gv. 9, 1 - 38
VIII
Plagale I
27
Atti 20, 16-18, 28-36
Gv. 17, 1 - 13
X
Plagale III




Giorno di digiuno

dal 2, 4, 9, 11, 16, 18, 23 ( con pesce, olio e vino)



25, 30 ( con olio e vino)





FESTE DELLA NOSTRA ARCIDIOCESI

  • CIRILLO E METODIO (11/5); la parrocchia di Nicastro
  • COSTANTINO ED ELENA (21/5) ; la parrocchia di Chieti


martedì 24 aprile 2012

III DOMENICA DI PASQUA : DELLE MIROFORE

III DOMENICA DI PASQUA :
 DELLE MIROFORE


Mirofore

Il termine "mirofora" significa "portatrice di mirra", e con esso ci si riferisce alle donne delle quali i Vangeli testimoniano la presenza sul Golgota e alle quali viene rivolto il primo annuncio della risurrezione. Esse sono testimoni di un avvenimento attestato dai quattro evangelisti: l'apparizione di angeli (due secondo Luca e Giovanni; uno secondo Matteo e Marco). Altri hanno già sottolineato la curiosità del fatto che siano state delle donne le prescelte come prime testimoni della risurrezione di Gesù: è noto infatti che, nella società del tempo, da un punto di vista giuridico le donne erano talmente considerate che una loro testimonianza in un tribunale non era ritenuta valida! Risulta quindi più che interessante voler approfondire le motivazioni che hanno portato la tradizione bizantina a dedicare una domenica del tempo pasquale proprio a queste donne. Una chiave di lettura può essere fornita dal fatto che il brano degli Atti che viene letto durante la Divina Liturgia (At 6, 1-7) narra l'istituzione dei sette diaconi, così che le mirofore diventano in qualche modo precorritrici di questo servizio (significato del termine greco diakonia), avendo curato e servito Gesù nella sua esistenza terrena. Il diaconato, inteso come servizio ordinato, non ha mai conosciuto soluzione di continuità in oriente, al punto che la liturgia bizantina assegna al diacono un ruolo decisamente più significativo che non la liturgia latina. È inoltre degno di nota il fatto che il più antico eucologio bizantino, il famoso codice Barberini gr. 336 dell'VIII secolo proveniente dall'Italia meridionale, riporta ancora la preghiera per l'ordinazione di una diaconessa, ministero, questo sì, caduto oggi in disuso anche nella tradizione orientale. La lettura evangelica di Marco ci mostra l'esercizio della diakonia operato sul corpo di Gesù crocifisso. Così anche Giuseppe di Arimatea si assume i suoi rischi per prendersi cura del corpo di Gesù: visto che la pratica romana era di lasciare i corpi dei crocifissi decomposi sulla croce, Giuseppe decide di rompere gli indugi e di presentarsi davanti a Pilato per chiedere il favore di poter recuperare il corpo senza vita di Gesù e potergli prestare una decorosa sepoltura. Attendere il regno non è per nulla un atteggiamento di inattività. Giovanni è l'unico a dirci (Gv 19, 39) che insieme a Giuseppe c'era Nicodemo, quello stesso che, essendosi recato di notte a parlare con Gesù, si era sentito dire che avrebbe dovuto rinascere: ora si aggiunge a Giuseppe di Arimatea portando con sé aloe e mirra in gran quantità. Anche le mirofore, tre gioni dopo, avevano con sé i consueti aromi per completare le onoranze funebri che il sopravvenire della Pasqua giudaica non aveva consentito di fare in tempo utile.
Al Lucernario dei Vesperi del sabato sera, dopo le prime sette strofe del secondo tono che celebrano la risurrezione, si cantano le strofe proprie delle mirofore.
La prima strofa è attribuita ad Anatolio, ma attraverso gli studi di Wilhelm Christ possiamo con fondatezza affermare che più che a un ipotetico innografo, il termine ha una origine gerosolimitana e si riferisce alla zona di provenienza; essa dice: Prendendo con sé gli aromi le mirofore giunsero ai primi albori alla tomba del Signore. Ma trovano ciò che non sospettavano, parlavano tra loro timorose della pietra che era stata rimossa: e dove sono i sigilli del sepolcro? Dove, le guardie di Pilato che dovevano custodirlo rigorosamente? Si fece iniziatore delle donne ignare un angelo sfolgorante che disse loro: perché cercate con lamenti il vivente, colui che da la vita al genere umano? È risorto dai morti il Cristo Dio nostro, perché è onnipotente, e dona a tutti noi vita incorruttibilità, illuminazione e la grande misericordia. Se i vangeli apocrifi si soffermano a descrivere il momento della risurrezione, qui essa emerge in maniera solo indiretta. Ci sono alcuni indizi (pietra, guardie, sigilli), più in generale si potrebbe dire che qualcosa non torna, è fuori posto, e l'intelligenza umana delle donne, al di là di sin troppo facili ironie, non riesce a cogliere la spiegazione di queste domande che emergono. Anche qui c'è bisogno di un dato rivelato: un giovane dall'aspetto sfolgorante, angelo in quanto veicolo di una comunicazione diretta di Dio all'uomo, ha il compito di annunciare il nucleo essenziale della nostra fede, ovvero la risurrezione dai morti per l'onnipotenza di Dio di quello stesso Gesù che era stato crocifisso, era morto, ed era stato sepolto proprio in quel luogo. Cosa significa "è risorto"? Non il ritorno alla vita precedente, che comunque, come sono state le risurrezioni di Lazzaro e del figlio della vedova di Nain, sarebbe inesorabilmente terminata prima o poi nella morte definitiva. Significa che il cadavere di Gesù di Nazaret, nella sua unicità personale e storicità, viene vivificato da una vita che, pur non perdendo le caratteristiche proprie della vita umana, non potrà più essere distrutta dalla morte: l'umanità di Gesù, il suo corpo, condivide l'incorruttibilità della vita divina.
La seconda strofa è attribuita ad un certo Kùmulas: insieme ai più dotti specialisti in materia, dobbiamo confessare di non sapere pressoché nulla di questo innografo, se non che è direttamente citato come autore di alcune strofe (idiomela, cioè testo originale ma musica derivata da un altro inno) della domenica delle mirofore e di un inno molto bello cantato sempre nel tempo pasquale la domenica del paralitico e che commenteremo a suo tempo. Ecco il testo: Perché, o discepole, mescolate gli unguenti alle lacrime? La pietra è stata rotolata via, la tomba è vuota. Guardate la corruzione calpestata dalla vita, i sigilli che danno chiara testimonianza, le guardie degli increduli pesantemente addormentate. Ciò che è mortale è stato salvato dalla carne di Dio: l'ade geme, e voi correte con gioia a dire agli apostoli: il Cristo che ha ucciso la morte, il primogenito dai morti, vi precede in Galilea. È l'angelo che parla, e di fronte alla tristezza, allo sconcerto e al dubbio, con la certezza della fede gli indizi di prima diventano le prove della risurrezione. Non è una visione consolatoria, o fine a se stessa, perché subito si è investiti di un compito: la buona novella deve essere annunciata, prima di tutto agli apostoli. La terza strofa è opera dello stesso Kùmulas: Di buon mattino le mirofore raggiunsero sollecite il tuo sepolcro, cercandoti, o Cristo, per profumare il tuo corpo immacolato; ma ammaestrate dalle parole di un angelo, annunciavano agli apostoli le prove della gioia: è risorto l'autore della nostra salvezza, spogliando la morte e donando al mondo l'eterna vita e la grande misericordia. La strofa che si canta dopo il Gloria è opera di san Cosma l'Innografo, vescovo di Maiuma, antica città vicino all'odierna Gaza, che morì nel 760 e che viene considerato uno dei più grandi poeti liturgici greci: Le mirofore, raggiunte la tua tomba, vedendo i sigilli sul sepolcro ma non trovando il tuo corpo purissimo, gementi vennero in fretta dicendo: chi ha rubato la nostra speranza? Chi ha preso un morto nudo, cosparso di mirra, unico conforto della Madre? Oh, ma come è stato messo a morte colui che dona la vita ai morti? E come è stato sepolto colui che spoglia a morte l'ade? Risorgi dunque, o Salvatore, per il tuo proprio potere, al terzo giorno come hai detto, per salvare le nostre anime. Attraverso un procedimento retorico, viene ipotizzata una illogicità che, riprendendo le reazioni emotive delle mirofore alla vista del sepolcro vuoto, tende ad indirizzare la loro ricerca. Il verbo trovare ha un significato particolare, visto che Luca lo utilizza per ben due volte consecutive all'inizio del brano e che anche nelle strofe ha la sua rilevanza: il corpo di Cristo risorto non può essere "trovato", occorre fidarsi dei segni e, ancor di più, delle persone che ce lo testimoniano.
Tra le strofe che si cantano durante la processione rogazionale è significativa quella che segue il Gloria: Giuseppe reclamò il tuo corpo immacolato e lo depose in un sepolcro nuovo: tu dovevi uscire dalla tomba come da una camera nuziale, o Cristo che hai infranto l'impero della morte per aprire agli uomini le porte del paradiso. Fa la sua comparsa Giuseppe di Arimatea, che con il gesto compiuto il venerdì santo si è guadagnato un posto particolare nella tradizione bizantina. Qui è interessante l'associazione di immagini tra il sepolcro e il talamo nuziale, così come quella tra le porte degli inferi che vengono calpestate da Gesù e le porte del paradiso che si riaprono per accogliere i morti che Gesù ha strappato all'ade.
Le strofe che vengono cantate agli Aposticha, così come i tropari di congedo, non sono originali della domenica delle mirofore: la strofa al Gloria è stata cantata solennemente durante il Vespero del Venerdì Santo nel momento in cui, nelle chiese di tradizione greca, si depone il corpo di Gesù dalla croce e lo si avvolge in una sindone, deponendolo sul sepolcro dove sarà venerato dai fedeli fino al mattutino di Pasqua; i tropari sono stati cantati una prima volta alla conclusione del Vespero del Venerdì Santo e successivamente nel Mattutino del Sabato Santo, mentre il resto delle strofe cantate agli Aposticha è costituito dai famosissimi stichirà pasquali che sono tradizionalmente attribuiti a san Giovanni Damasceno.
Nelle strofe che, nel Mattutino, seguono la salmodia occorrente, rileviamo alcune immagini interessanti: Tu non hai impedito che fosse sigillata la pietra del sepolcro, e così risorgendo hai offerto a tutti la roccia della fede. Portando gli aromi per la tua sepoltura al mattino le donne giunsero furtive al sepolcro, temendo la prepotenza dei giudei, e prevedendo la vigilanza dei soldati. Ma la loro debole natura vinse quella forte, perché il loro animo compassionevole era stato gradito a Dio. La pietra del sepolcro, che sembrava rinchiudere la vita annichilendo ogni speranza, diviene con la Risurrezione la roccia della fede, al punto tale che la debole natura delle donne, preoccupate da prepotenza e arroganza, sovrasta gli interlocutori, guardie, giudei o apostoli che siano.
Il Canone delle Mirofore è un poema di Andrea di Creta. Dalle brevi note biografiche disponibili, sappiamo che sant'Andrea nacque a Damasco nel 660 circa. All'età di quindici anni, raggiunta Gerusalemme, decise di entrare nel monastero di San Saba e del Santo Sepolcro. Teodoro, patriarca di Gerusalemme, nel 685 lo inviò quale suo delegato al VI concilio ecumenico (Costantinopolitano III) per appoggiare la condanna del monotelismo. Durante tale soggiorno Andrea ricevette l'ordinazione diaconale e gli fu affidata la gestione di un orfanotrofio e di un ospizio per anziani. Nell'anno 700 circa, fu eletto vescovo di Gortina, sede metropolitana dell'isola di Creta. Andrea è famoso per i sermoni (ne sono giunti a noi una cinquantina, tra cui alcuni che hanno sviluppato la devozione mariana anche in occidente), ma soprattutto per i Canoni da lui composti, tra i quali spicca il grande canone penitenziale che si canta nel corso della quaresima e che è formato da più di duecentocinquanta strofe. Il canone delle mirofore ha una ottantina di strofe e possiamo raggrupparle, per comodità di lettura e per tentare una sintesi, in base a tre temi principali. Il primo di questi temi è incentrato sulla passione, morte, sepoltura e risurrezione di Gesù. Dalla prima ode: Sei stato crocifisso nella carne, tu che sei impassibile nella natura del Padre. Onoro la tua croce, glorifico la tua sepoltura, canto e venero la tua risurrezione. Hai assaggiato il fiele, o dolcezza della Chiesa, eppure hai fatto sgorgare per noi l'incorruttibiltà del tuo costato. Sei stato computato tra i morti, o Salvatore, e hai risuscitato i morti: hai appena gustato la corruzione, ma in nessun modo hai conosciuto dissoluzione. Sin dalla prima frase emerge una cifra teologica che denota, attraverso la precisione del linguaggio, l'evoluzione del dibattito cristologico: anche all'interno di un inno liturgico, si sente la necessità di ribadire la profonda unità dell'ipostasi del Verbo, che pur essendo Dio, patì nella carne in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Croce, sepoltura e risurrezione non sono separabili: averlo fatto, nel corso della storia, ha portato in diversi momenti a privilegiare gli aspetti forse più umani, che privati però della risurrezione rischiano di ridurre il Cristo ad un esempio morale da seguire. Interessante è poi l'utilizzo del verbo computare (eloghìste): è un verbo puntuale, che nell'Antico Testamento ha una significativa occorrenza nel Levitico, dove è usato dai sacerdoti per dichiarare che un sacrificio era valido. In questo contesto il suo utilizzo tende ad evidenziare la morte reale e non apparente di Gesù. Ma c'è forse una valenza ancora più significativa, sebbene indiretta, perché l'utilizzo più famoso del verbo computare è in Gn 15, 6 quando Abramo, riceve da Dio la promessa dell'Alleanza, "Abramo credette e gli fu computato a giustizia". Nel testo ebraico compare il verbo "aman" da cui deriva amen, e una tradizione rabbinica traduce "e Abramo pronunciò il suo amen". Allora il significato di questo amen, che è associato al computo, è far stare saldo, trovare saldezza. Aman è poggiarsi su qualcosa di saldo e di sicuro. Credere non è astrattezza: Abramo si fida e fonda la sua vita sulla roccia della Parola di Dio. Anche noi fondiamo la nostra fede sulla parola dell'annuncio dei testimoni.
Nella terza ode emergono alcuni temi con riferimenti nuovi: Inchiodate le mani alla croce, o Gesù, sottraendo tutte le genti dall'errore, le hai chiamate a conoscere te. L'agnella stando presso la tua croce, o Gesù, gridava piangendo: dove vai o Figlio, dove te ne vai, o agnello immolato per tutti? Sei risorto, o Gesù, il nemico è stato spogliato, Adamo ed Eva con lui sono stati liberati dai vincoli della corruzione, grazie alla tua risurrezione. Se Gesù è stato identificato con l'agnello da Giovanni Battista, l'accostamento a Maria del corrispondente agnella lo si trova con certezza nell'omelia pasquale di Melitone di Sardi, vescovo e martire alla fine del secondo secolo. La croce è l'apice dell'autorivelazione del Dio Amore, e nelle sue braccia allargate possiamo sperimentare un nuovo modo di conoscere. Se il peccato aveva fatto percepire la nudità ad Adamo ed Eva, nella Risurrezione è il nemico ad essere spogliato, mentre l'uomo è liberato dalla tunica di pelle, la sua veste corruttibile, e all'uomo nuovo viene donata la veste dell'incorruttibilità.
Nella quarta ode il tema della lotta tra Cristo e la morte viene ulteriormente approfondito. Con la croce hai imprigionato il ventre dell'ade, hai fatto risorgere i morti e hai abolito la tirannide della morte: perciò noi, nati da Adamo, celebriamo adoranti la tua sepoltura e la tua risurrezione, o Cristo. O Salvatore nostro, che nel tuo beneplacito per le tue viscere di misericordia, sei stato confitto in croce e ci hai riscattati dalla maledizione paterna, sciogli i vincoli delle mie molte colpe. O Salvatore, l'ade incontrandoti nelle profondità è stato amareggiato, vedendo che quanti un tempo aveva inghiottito prevalendo, ora è stato costretto a renderli e che le regioni sotterranee venivano perquisite, spogliate e depredate dei morti. Il ventre insaziabile dell'ade, che divorava con lo scorrere inesorabile del tempo ogni uomo che moriva, viene imprigionato dalla croce in una sorta di dieta permanente; e al ventre insaziabile del regno dei morti vengono contrapposte le materne viscere di misericordia che, riscattandoci dalle nostre innumerevoli colpe, ci riaprono le porte del regno di Dio. Gli inferi sono definitivamente sconfitti e costretti a restituire le loro prede, custodite da secoli, come in un'amnistia generale: le carceri vengono attentamente ispezionate affinché nessuno possa essere dimenticato, affinché nessuna preziosa dracma possa essere inavvertitamente lasciata giacere coperta dalla polvere del peccato.
Nella quinta ode ritorna il tema della veste, cui si aggiunge quello del buon samaritano, rileggendo in chiave pasquale elementi che avevano contraddistinto il cammino quaresimale. O mio Salvatore, vestendoti di me, tu mi hai spogliato della veste antica che mi aveva tessuta il seminatore del peccato. Foglie di fico mi aveva cucito il peccato, perché, consigliato dal serpente, non avevo custodito il tuo immacolato comandamento, o Salvatore. Il Cristo che viene da Maria è giunto, ha versato olio sulla mia anima ferita dai pensieri ladroni, e l'ha risanata. La creatura nuova, rinata con il Cristo risorto, si è rivestita di lui con il battesimo, come ci dice san Paolo. Le foglie di fico, che avevano costituito la tunica cucita dall'uomo per coprire le nudità del peccato, ora vengono definitivamente abbandonate. Il peccato resta, ma il Cristo (l'Unto) che viene da Maria versa sulla nostra anima ferita e derubata dai ladroni l'olio della sua misericordia; non dobbiamo inoltre dimenticare l'estrema somiglianza tra olio (èleon) e misericordia (èleos), somiglianza che i Padri greci, e di conseguenza gli innografi, hanno molto utilizzato.
La sesta ode, pur non aggiungendo temi nuovi, rappresenta in modo ancora più evidente la lotta tra Gesù e l'ade, il regno dei morti: L'ade è morto: coraggio, figli della terra! Il Cristo appeso al legno ha rivolto contro di lui la spada ed egli giace morto: è stato spogliato e depredato di quanti deteneva. L'ade è stato spogliato, coraggio, o morti! I sepolcri sono stati aperti, sorgete! Così grida a voi il Cristo dall'ade, lui che è venuto per redimere tutti dalla morte e dalla corruzione. I morti che un tempo, prevalendo, avevi inghiottito, o ade, ora te li richiedo, ridammeli! Così a te grida il datore di vita e Dio che è venuto per liberare tutti dal tuo ventre insaziabile. Il Signore è risorto, spogliando il nemico, e ha ricondotto tutti i prigionieri che gli ha sottratto, e anche il primo creato, Adamo, che ha risuscitato, perché è Dio compassionevole e amico degli uomini. Cristo, disceso agli inferi, chiama i morti a gran voce per risvegliarli dal sonno che fino ad allora era sembrato senza speranza. Il Redentore che, nostro parente più prossimo secondo quanto previsto dalla legge ebraica, ci riscatta da colui che ci imprigionava, reclama la sua proprietà a partire dal primo Adamo.
Come in un ben studiato crescendo, nella settima ode affiora il tema del rinnovamento dell'immagine con cui l'uomo era stato plasmato nel racconto creazionale di Gn 2: Tu che come amico degli uomini vuoi salvare dall'errore tutti coloro che hai plasmato, hai sopportato di essere inchiodato alla croce, per rinnovare, mediante la tua carne, o Salvatore, la tua immagine ricoperta dalle passioni, e, distrutto l'ade, hai fatto risorgere con te i defunti. È stato un tuo beneplacito patire tutto ciò per i nostri peccati: perciò anche al ladrone hai aperto le porte del paradiso, o Salvatore. Tu hai fatto risorgere dalla tomba il terzo giorno il tempio distrutto del tuo corpo, come avevi promesso. Cosa avete visto di incredibile per non credere al Cristo? Non ha fatto forse alzare gli infermi con la sua parola? Non ha forse salvato tutti? Vi convincano almeno i soldati e i risorti dai morti. Se non lo hanno visto risorgere, se non se ne sono accorti, allora come hanno potuto capire che era stato rubato? Vi convincano almeno questa pietra e le bende funerarie del Cristo. La tomba è realmente sigillata: come dunque è risorto se non perché è Dio? Vi convincano coloro che sono risorti e si sono fatti vedere da molti. Il corpo del Risorto, tempio ricostruito in tre giorni, ricrea l'uomo e lo rende degno di varcare di nuovo le porte del paradiso, come è successo al buon ladrone, che nella tradizione bizantina è più profondamente chiamato il ladro teologo. Se la teologia è primariamente il riconoscimento della presenza di Cristo che opera in modo nuovo ed efficace nella storia (teologo è colui che sa pregare, dicono i Padri), allora i segni operati da Gesù durante la sua vita terrena ora si rivelano in tutta la loro portata, e riacquistano luce definitiva attraverso lo splendore della Risurrezione. Tutto ci porta a riconoscere la realtà della risurrezione dai morti di Gesù, Cristo e Signore.
L'ottava ode non fa altro che proseguire e svolgere il tema della realtà che ci manifesta la presenza di Cristo risorto: perfino la pietra, i sigilli, le bende e le fasce sepolcrali, le stesse guardie attonite sono il segno di una nuova vita. Chi ha rotolato con le sue mani la pietra dal sepolcro? Chi ha fatto seccare il fico? Chi ha risanato la mano inaridita? Chi ha saziato un giorno la folla nel deserto? Chi se non il Cristo che fa risorgere i morti? Chi ha dato la luce ai ciechi, purificato i lebbrosi, drizzato gli storpi e camminato a piedi asciutti sul mare come su terra ferma? Non forse il Cristo Dio che risuscita i morti? Chi ha risuscitato dalla tomba un morto di quattro giorni, e il figlio della vedova? Chi, come Dio, ha drizzato il paralitico costretto a letto? Grida la pietra stessa, gridano i sigilli che avete messo, aggiungendo guardie per sorvegliare il sepolcro: Cristo è veramente risorto e vive nei secoli.
La nona ode, attraverso una serie di immagini contrapposte, ci aiuta ad approfondire l'abisso tra quello che diamo a Cristo (non possiamo non identificarci con i Giudei a cui queste strofe sono rivolte) e quello che da Cristo riceviamo: Il ladrone che sulla croce ti riconobbe Dio, tu lo hai fatto erede del paradiso spirituale. Per noi sei stato fatto oggetto di sputi e schiaffi dai trasgressori della Legge, tu che sul Sinai avevi scritto le tavole della Legge per il tuo servo Mosè. Per noi sei stato abbeverato di aceto e fiele, tu che ci hai dato il tuo corpo e il tuo sangue prezioso come cibo e bevanda della tua eterna vita. Sei stato computato tra i morti, tu che ai morti dai la vita; sei stato deposto in una tomba, tu che svuoti le tombe.
Ripercorriamo ora il Canone raggruppando le strofe che ricordano Giuseppe di Arimatea. Egli è degno di essere ricordato perché avvolse in bende il tuo Corpo, o Cristo, e depose te, la salvezza, in un sepolcro nuovo; perché hai accolto Dio tra le braccia, come fece il vecchio Simeone accogliendo Gesù presentato al tempio, Insieme alle mirofore e agli apostoli, onoriamo Giuseppe, il nobile consigliere discepolo, zelante per la pietà, perché ha calato dalla croce il corpo del Signore e con fede lo ha sepolto. È Giuseppe che, dopo averti avvolto in una sindone, o Cristo, ti ha deposto in un sepolcro, e dopo aver cosparso di aromi il tempio distrutto del tuo corpo, ha rotolato una grande pietra all'ingresso della tomba.
Questa stessa pietra era la preoccupazione più grande delle donne che si avvicinavano al sepolcro, cercando anch'esse, come Giuseppe, il regno di Dio. Il loro obiettivo era quello di prestare le ultime e più accurate cure alla salma del Maestro, in un gesto di pietà e venerazione. Ma si sentono dire dall'angelo: O donne, mirofore, perché ormai affrettarvi? Perché portate gli unguenti profumati al vivente? È risorto il Cristo, come aveva detto. Cessino le vostre lacrime e si mutino in gioia. In queste donne siamo chiamati a riconoscere il limite che è in ciascuno di noi: siamo sempre preoccupati di cose che, prese in se stesse, sono anche giuste, ma che alle volte sono molto lontane dai disegni di Dio. In loro è evidente la non conoscenza di come sarebbe andata a finire, così non dobbiamo stupirci se la misericordia del Signore sceglie di manifestarsi in modo molto diverso da quello che noi pensiamo essere il più giusto e razionale. Il non riuscire a cogliere la novità della manifestazione di Gesù Risorto non ci deve però far dubitare della risurrezione stessa. Secondo una logica puramente umana, dove la ragione tenta di sopraffare l'amore, il trovare il sepolcro vuoto perché non c'è nessun cadavere potrebbe far sembrare inutile il gesto stesso dell'andare al sepolcro, ma è proprio a partire da un gesto di amorevole compassione, di pienamente umana affezione, che le mirofore andate al sepolcro possono sentirsi dire dall'angelo l'annuncio della risurrezione. Le strofe che si cantano al Lucernario del Vespero della domenica sera fanno risaltare con chiarezza questa tensione. Dunque tra i morti è la vita? Sotto terra è tuttora il sole senza sera? Il coro delle mirofore facendo lamento esclamava: venite, corriamo in fretta al santo sepolcro a vedere. Ma scorgendovi un angelo risplendente, restarono stupite e smarrite. E questi, facendo cessare il loro lamento, gridò: è risorto il datore di vita, non abbiate timore, o pie donne. All'alba il coro delle donne, prima del sole si diede a cercare il Sole che nella tomba era tramontato. Ma l'angelo radioso si rivolse a loro: è sorta la luce che illumina quanti dormono nelle tenebre! Portate l'annuncio ai discepoli, astri dell'aurora, mutate l'abbattimento in gioia, e cantate in coro, con cuore che non dubita, facendo risuonare l'annuncio della pasqua gaudiosa, della salvezza del mondo.
Quando le donne si avvicinano alla tomba, il sole sta per sorgere, ma esse non realizzano che il Figlio di Dio è risorto, e che non è nemmeno nella tomba. Esse cercano Gesù, e tentano di fare qualcosa che sembra al di là delle loro possibilità. Ma non possono non compiere questo gesto di amore. Forse la Chiesa, nella sua pedagogia liturgica, vuole farci capire che anche noi dobbiamo cercare Gesù più di ogni altra cosa. Come per le mirofore, anche nella nostra vita ci sono ostacoli, pietre che sembrano inamovibili, situazioni nella quali sembra impossibile trovare Gesù, incontrarlo, essere in comunione con Lui, vivere ciò che Egli ci chiede di vivere. Ma noi dobbiamo guardare a Chi cerchiamo, non agli ostacoli che troviamo sulla via di questa ricerca, nella certezza che l'amore che ci spinge a cercarlo prima o poi riconoscerà la via che ci porta a Cristo. Le mirofore ci possono dire anche che, a volte, Gesù può non essere dove lo stiamo cercando. Esse erano ragionevolmente certe che Gesù fosse lì: era morto in croce e lo avevano deposto in quella tomba. Lo smarrimento che provano di fronte all'angelo è evidente, ma non rimangono attaccate al loro punto di vista, accettano di ritornare sui propri passi assumendosi il compito che Dio assegna loro attraverso l'angelo. È un compito da affrontare nella letizia, il dolore e il pianto si devono tramutare in gioia, ma l'annuncio evangelico non è privo di difficoltà: gli stessi discepoli fanno molta fatica a credere. Non dobbiamo dimenticarci che noi, prima di incontrare il Risorto, andiamo a cercare il Crocifisso. È vana la nostra speranza di lasciare la croce nel sepolcro vuoto, perché il corpo del Risorto, come abbiamo visto nella domenica di Tommaso, è segnato dalle piaghe dei chiodi e della ferita al costato. Anche se dopo la Pasqua i digiuni e le prostrazioni sono terminate, prove, tentazioni e sacrifici non conoscono il calendario liturgico. L'ultima cosa che le mirofore ci dicono, recando l'annuncio dell'angelo, è che Gesù ci aspetta in Galilea, dove potremo di nuovo incontrarlo. Anche noi, come i discepoli, abbandoniamo continuamente Gesù e preferiamo poltrire nella sicurezza delle nostre case invece che farci carico della diakonia nell'amore che animava le mirofore, uscite di casa nella notte. La Chiesa, attraverso la voce delle mirofore, ci chiede di metterci di nuovo in cammino, per far rivivere in noi il ricordo e il fervore del nostro primo incontro con Gesù. È questo cammino che tiene vivo il desiderio, che consente alla memoria dell'incontro di non affievolirsi. D'altra parte abbiamo una traccia da seguire in questo cammino, perché lui "ci precede in Galilea", e questa traccia sono proprio le persone che Dio mette quotidianamente sul nostro stesso cammino: dapprima con gli occhi della fede e dell'amore, e poi anche con gli occhi del corpo, noi raggiungeremo la certezza 
incrollabile della sua presenza: "Là voi lo vedrete….".















III DOMENICA DI PASQUA: DELLE MIROFORE



III DOMENICA DI PASQUA : DELLE MIROFORE


LETTURA DELLA DOMENICA 29/04/2012

APOSTOLO: Atti 6:1-7



Fratelli in quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli,
sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei,
perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto 
che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense.
 Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione,
pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico.
 Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola».
 Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano,
uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore,
Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia.
 Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato,
imposero loro le mani.
Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei
discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.


*****

Vangelo di Marco 15:43-16:8



 Giuseppe d'Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava
anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere
il corpo di Gesù.  Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato
il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo.  Informato dal centurione,
concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò
giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato
nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.  
Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare
dove veniva deposto.
 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome
comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon
mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole.
 Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?».
 Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse
molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra,
vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura.  Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! 
Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui.
Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a
Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».  
Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore
e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.

giovedì 19 aprile 2012

L' INCREDULITA' DI SAN TOMMASO


L' INCREDULITA' DI SAN TOMMASO



Signore mio e Dio mio

Tommaso,  era uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù" (Gv 20,24). Questo discepolo era assente quando il Gesù apparse ai suoi . Quando ritornò udì il racconto dei fatti accaduti, ma rifiutò di credere a quello che aveva sentito. Venne ancora il Signore e al discepolo incredulo offrì il costato da toccare, mostrò le mani e, indicando la cicatrice delle sue ferite, guarì quella della sua incredulità. Che cosa, fratelli, intravedete in tutto questo? Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto dal Signore sia stato assente, e vedendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto? No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell'incredulità. L'incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti quello viene ricondotto alla fede col toccare, la nostra mente viene consolidata nella fede con il superamento di ogni dubbio. Così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della verità della risurrezione. Toccò ed esclamò: " Mio Signore e mio Dio !". Gesù gli disse:" Perché mi hai veduto, hai creduto" (Gv 20, 28-29). Siccome l'apostolo Paolo dice:" La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono ", è chiaro che la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Le cose che si vedono non richiedono più la fede, ma sono oggetto di conoscenza. Ma se Tommaso vide e toccò, come mai gli viene detto: " Perché mi hai veduto, hai creduto "? Altro però fu ciò che vide e altro ciò in cui credette. La divinità infatti non può essere vista da uomo mortale. Vide dunque un uomo e riconobbe Dio, dicendo: " Mio Signore e mio Dio ! ". Credette pertanto vedendo. Vide un vero uomo e disse che era quel Dio che non poteva vedere. Ci reca grande gioia quello che segue:" Beati quelli che pur non avendo visto crederanno! " (Gv 20,28). Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice infatti san Paolo di coloro che hanno fede soltanto a parole:" Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti " (Tt 1,16). E Giacomo scrive:" La fede senza le opere è morta". (Gc 2,26).



II DOMENICA DI PASQUA DI TOMMASO

II DOMENICA DI PASQUA  DI TOMMASO




Lettura  della domenica 22/04/2012

APOSTOLO : Atti 5:12-20


Fratelli  molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone;  degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.  Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore  fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro.  Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.
 Si alzò allora il sommo sacerdote e quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di livore,  e fatti arrestare gli apostoli li fecero gettare nella prigione pubblica.  Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li condusse fuori e disse:  «Andate, e mettetevi a predicare al popolo nel tempio tutte queste parole di vita».




VANGELO di Giovanni 20:19-31



 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».  Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.  Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».  Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo;  a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.  Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».  Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».  Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».  Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

domenica 15 aprile 2012

SANTA E GRANDE DOMENICA DI PASQUA

Santa e Grande Domenica di Pasqua. 
Si festeggia la vivificante Risurrezione del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo  




Omelia di san Giovanni Crisostomo

Se qualcuno è pio e ama il Signore, goda di questa lieta e luminosa festa! Ogni servitore fedele entri giubilo nel gaudio del suo Signore. Chi ha faticato digiunando, riceva ora la sua ricompensa. Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il suo giusto salario; chi è arrivato dopo la terza, sia lieto nel rendere grazie; chi è giunto dopo la sesta, non esiti affatto: non riceverà alcun danno; chi si è attardato fino alla nona, venga avanti, non tema; chi è arrivato solamente all'undecima, non si rattristi per il ritardo, il Padrone infatti è generoso: accoglie l'ultimo casi come il primo; concede il riposo a quello dell'undecima ora come all'operaio che ha lavorato sin dalla prima ora; ha pietà dell'ultimo e ricompensa il primo; a questi da e a quelli regala. Accetta le opere e loda l'intenzione; apprezza l'azione e loda il buon proposito.
Orsù dunque, entrate tutti nella gioia del nostro Signore: primi ed ultimi, ricevete la ricompensa; ricchi e poveri, danzate insieme; temperanti e spensierati, onorate questo giorno: abbiate o no digiunato, oggi rallegratevi di questo giorno! La mensa è ricolma, gustatene tutti a sazietà; il vitello è abbondante, nessuno si alzi affamato. Tutti prendete parte al banchetto della fede. Godete tutti della ricchezza della bontà. Nessuno si lamenti della miseria: si è manifestato infatti Il comune Regno.
Nessuno pianga per i suoi peccati: il perdono si è levato dal sepolcro. Nessuno tema la morte: ci ha infatti liberati la morte del Salvatore; l'ha distrutta mentre era stretta da essa. Ha punito l'inferno Colui che è disceso negli inferi; l'ha amareggiato perché aveva toccato la sua carne. Isaia l'aveva previsto quando gridava: «l'Inferno fu amareggiato quando s'incontrò con te negli abissi». Fu amareggiato perché fu distrutto, fu amareggiato perché fu Ingannato, fu amareggiato perché fu incatenato. Ha preso un corpo e si è trovato innanzi un Dio, ha preso della terra e ha incontrato il cielo, ha preso il visibile e si è imbattuto nell'invisibile.
Dov'è o morte il tuo pungolo? Dov'è inferno la tua vittoria? Cristo è risorto e tu sei precipitato. Cristo è risorto e i demoni sono caduti. Cristo è risorto e gli Angeli si rallegrano. Cristo è risorto ed è sorta la città della vita. Cristo è risorto e nessun morto resta nel sepolcro. Cristo infatti, resuscitando dai morti, è diventato primizia di coloro che dormono nei sepolcri.
A lui sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amìn.


APOSTOLO dagli Atti 1:1-8


 Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.

 Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me:  Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».

 Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta,  ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».




VANGELO di Giovanni 1:1-17


 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
 Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;  la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
 Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
 Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.


 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
 Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
 Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
 A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: 


a quelli che credono nel suo nome,  i quali non da sangue,
né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre,  pieno di grazia e di verità.


 Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
 Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.




CRISTO E' RISORTO ?


 E' VERAMENTE RISORTO ALLELUIA


mercoledì 11 aprile 2012

MESSAGGIO PATRIARCALE PER LA SANTA PASQUA 2012


MESSAGGIO PATRIARCALE PER LA PASQUA 2012


+ B A R T O L O M E O
PER GRAZIA DI DIO
ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA
E PATRIARCA ECUMENICO






A TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA
GRAZIA, PACE E MISERICORDIA
DA CRISTO SALVATORE GLORIOSAMENTE RISORTO
Divenne primogenito tra i morti
(Apolitichion resurrezionale, tono 3°)
Amati Figli nel Signore,
Se la Resurrezione di Cristo riguardasse solo Lui stesso, il suo significato sarebbe per noi nullo. Ma Cristo non è risorto da solo. Insieme a Lui è risorto tutto il genere umano. Grida a gran voce al riguardo il nostro predecessore, il Sacro Crisostomo: “Cristo è risorto e nel sepolcro non vi è alcun morto. Cristo infatti è resuscitato dai morti, è divenuto primizia dei defunti”, primizia evidentemente della resurrezione di tutti i defunti e di coloro che in seguito si sarebbero addormentati e del loro transito dalla morte alla vita. Il messaggio è gioioso per tutti, perché la Resurrezione di Cristo annulla la forza della morte. Coloro che credono in Lui, professano la Resurrezione dei morti e per questo sono battezzati nella sua morte, risorgono insieme con Lui e vivono la vita eterna.
Il mondo lontano da Cristo cerca di accumulare beni materiali perché poggia su di essi la speranza della propria vita. Sconsideratamente spera che attraverso la ricchezza eviterà la morte. E l’uomo che sbaglia nell’accumulare ricchezze, come se esse allungassero la sua vita, diffonde la morte agli altri. Egli strappa da loro la forza economica della sopravvivenza e spesso interrompe violentemente il filo della loro vita, sperando che così potrà salvare la propria vita.
Ma ahimè! Grande è il suo errore. La vita si guadagna con la fede in Cristo e con la incorporazione in Lui. L’esperienza della Chiesa Ortodossa assicura che coloro i quali sono uniti a Cristo vivono anche dopo la morte, si ricongiungono con i viventi, conversano con loro, li sentono e spesso vengono incontro miracolosamente alle loro richieste.
Non serve più la ricerca mitologica dell’”acqua della immortalità”. La immortalità esiste in Cristo ed è offerta a tutti attraverso di Lui.
Non serve annientare popoli per far sopravvivere altri popoli. Né c’è bisogno di annientare esseri umani indifesi per far vivere in modo più agiato altri esseri umani. Cristo offre a tutti la vita terrestre e la vita celeste. Egli è risorto per quanti desiderano seguirlo sulla via della resurrezione. Al contrario, quanti indirettamente o direttamente diffondono la morte, credendo così di prolungare o facilitare la propria vita, condannano se stessi alla morte eterna.
Il nostro Signore Risorto, Gesù Cristo, è venuto al mondo affinché tutti gli uomini abbiano vita e ne abbiano in abbondanza. Sarebbe un grande errore credere che il benessere pervenga al genere umano attraverso lotte intestine.
Cristo ha fatto risorgere i morti ed ha annullato la loro morte. Ha la forza di eludere la morte. Il fatto che abbia vinto la morte, conferma la sua avversione verso di essa. Cristo conduce alla vita, la riprende, eventualmente interrompendola, perché Egli è “la Vita e la nostra Resurrezione”. Per questo i credenti non hanno paura della morte. La nostra forza non consiste nella invulnerabilità della nostra esistenza, ma nella sua resurrezione.
Cristo è risorto! E anche noi risorgeremo!
Seguiamo, fratelli e figli amati nel Signore, il Cristo Risorto, in tutte le sue opere. Aiutiamo coloro che vivono privi di mezzi di sussistenza, per mantenerli in vita. Proclamiamo a coloro che ignorano la Resurrezione di Cristo, che per mezzo di essa è stata eliminata la morte e che di conseguenza anche loro possono prendere parte alla Sua Resurrezione, credendo in Lui e seguendo i Suoi passi. La nostra resurrezione è allora possibile solo quando è offerta attraverso la resurrezione degli altri nostri fratelli. Solo allora l’enunciazione vittoriosa “Cristo è risorto” agirà in modo salvifico per tutta l’umanità. Così sia.- .
Santa Pasqua 2012
Il Patriarca di Costantinopoli
Fervente intercessore per voi tutti
presso il Cristo Risorto

 








MESSAGGIO METROPOLITA D'ITALIA E MALTA PER LA SANTA PASQUA



+ GENNADIOS
 PER GRAZIA DI DIO
METROPOLITA D’ ITALIA E MALTA
ED ESARCA PER L’EUROPA MERIDIONALE
A TUTTO IL SACRO CLERO ED AL PLEROMA FEDELE
DELLA NOSTRA ARCIDIOCESI ORTODOSSA


Figli amati nel Signore,
La “Festa delle Feste” e la “Solennità delle Solennità”, la salvifica Resurrezione del Salvatore nostro Gesù Cristo, è la “Festa dell’Amore”, è il “Giorno della fratellanza”, è la “Gioia infinita della Salvezza”.
Il padre dell’Amore e del Dialogo, Giovanni Crisostomo, presenta Cristo che dice agli uomini: “Io sono padre, io fratello, io sposo, io colui che dà il cibo, io il mantello, tutto ciò che vuoi sono io. Io poi lavorerò; sono venuto, infatti, per servire e non per essere servito. Io sono sia amico, sia membro, sia capo. Io sono povero per te e mendicante per te. Tu per me sei tutto, sia fratello che coerede, sia amico che membro. Cosa cerchi di più?”
La Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta sta progettando, dal prossimo 1 al 5 novembre, una visita a Costantinopoli ed al Centro dell’Ortodossia, il nostro Patriarcato Ecumenico, dove la Chiesa è stata guidata da Padri come San Giovanni Crisostomo e da numerosi Arcivescovi di Costantinopoli e Patriarchi Ecumenici, a cominciare dall’Apostolo Sant’Andrea sino a Sua Santità l’attuale Patriarca Ecumenico Bartolomeo. Invitiamo sia il Sacro Clero che il Pio Popolo a partecipare a tale Pellegrinaggio, allo scopo di ricevere personalmente la Benedizione da parte di Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo e di visitare Luoghi Sacri della Cristianità.
La Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta, allo scopo di contenere i costi di viaggio in aereo e di permanenza in albergo, prega caldamente gli interessati di comunicare la propria adesione entro la domenica della Santa Pentecoste (3 giugno). Saranno comunicati per tempo i dettagli del viaggio.
In conclusione, augurando a tutti voi, da parte del nostro Salvatore Risorto Gesù Cristo, l’Amore Divino che supera ogni mente e che sovrasta il mondo, affinché la vostra vita sia piena di gioia e letizia ed abbiate lunga vita, salute del corpo e dell’anima, vi abbracciamo tutti con amore paterno, assicurando le nostre fervide preghiere.
“Buona Santa Pasqua!”
Venezia, 03 aprile 2012
+ Metropolita Gennadios
Arcivescovo Ortodosso d’Italia a Malta ed
Esarca per l’Europa Meridionale


                                                                                                                                     ORTODOSSIA.IT

martedì 3 aprile 2012

PROGRAMMA DEI S.S. UFFICI DELLA SETTIMANA SANTA 2012


PROGRAMMA DEI S.S. UFFICI DELLA SETTIMANA SANTA 2012

CHIESA ORTODOSSA CHIETI 
" SAN COSTANTINO ED ELENA E SAN NICOLA"
VIALE ABRUZZO ,122 - CHIETI SCALO
3388772387 padre Anatoliy


PROGRAMMA DEI SS.UFFICI DELLA
SETTIMANA SANTA 2012

12/04/2012 GIOVEDI SANTO (Ultima cena-La Santa Passione)
ore 18.30 Ufficio della Santa Passione
Preparazione dell'Epitafios /плащеница/sepolcro

13/04/2012 VENERDI SANTO (La santa passione)
ore 10.30 Ufficio del Mattutino del Sabato Santo (Epitafios)
ore 18.30 Litania dell'epitafios/плащеница
Processione Epitafios
Ritorno alla chiesa

14/04/2012 SABATO SANTO (La discesa agli Inferi)
ore 22.30 Panachida e Ufficio della Mezzanotte
ore 23.45 Litania della Resurrezione
ore 00.00 15/04/2012 Ufficio della Resurrezione (davanti alla
chiesa) ritorno in chiesa e celebrazione della Divina
Liturgia Pasquale di San Giovanni Crisostomo.
Benedizione cestini (uova, formaggi, ecc)